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reato (n.)
criminalità, crimine, maleducazione, offensiva, offesa, omicidio, scellerataggine, scortesia, villania, violazione, infrazione della legge (diritto, giure), trasgressione (diritto, giure), violazione della legge (diritto, giure)
See also
reato (n.)
↘ offensivo ↗ calpestare, contravvenire, contravvenire a, infrangere, maleducato, nascere, profanare, rude, scortese, sgarbato, smanierato, trasgredire, venire meno, violare ≠ cortesia, garbatezza, gentilezza
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⇨ Apologia di reato • Arresto in flagranza di reato • Body of Evidence - Corpo del reato • Cause di estinzione del reato • Indiziato di reato • Ipotesi di reato • Iscrizione della notizia di reato • Oggetti di reato • Professionalità nel reato • Reato a sfondo sessuale • Reato associativo • Reato continuato • Reato impossibile • Reato omissivo improprio • Reato preterintenzionale • Reato putativo • Tommaso Reato • Tradimento (reato) • Un corpo da reato
reato (n.)
reato (n.)
phase du combat (fr)[Classe]
reato (n.)
oltraggio; ingiuria; offesa[Classe]
grossièreté (fr)[Classe]
tendance, disposition à être ou à devenir (fr)[Classe...]
impoli (fr)[termes liés]
reato (n.)
reato (n.)
Descripteurs EUROVOC (fr)[Thème]
reato (n.)
faute pénale (fr)[ClasseHyper.]
droit pénal (fr)[termes liés]
reato, trasgressione, violazione[Classe]
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Il reato è un atto umano, commissivo o omissivo, al quale l'ordinamento giuridico ricollega una sanzione penale in ragione del fatto che tale comportamento sia stato definito come antigiuridico in quanto costituisce un'offesa a un bene giuridico o un insieme di beni giuridici (che possono essere beni di natura patrimoniale o anche non patrimoniali) tutelati dall'ordinamento da un'apposita norma incriminatrice. Rientra, quindi, nella più ampia categoria dell'illecito.
Indice |
Dal punto di vista formale (o giuridico) il reato è quel fatto giuridico espressamente previsto dalla legge (principio di legalità) al quale l'ordinamento giuridico ricollega, come conseguenza, la sanzione. Dal punto di vista strutturale, pertanto, il reato è quel fatto umano attribuibile al soggetto (principio di materialità) offensivo di un bene giuridicamente tutelato (da una lesione o, in certi casi, anche solo da una minaccia) sanzionato con una pena proporzionale alla rilevanza del bene tutelato, in cui la sanzione svolge la funzione di rieducazione del condannato. Il reato, previsto, disciplinato e sanzionato dall'ordinamento giuridico si distingue dall'illecito amministrativo e civile per la diversa natura della sanzione prevista.
Per quanto riguarda gli elementi essenziali del reato (in assenza dei quali lo stesso non esiste) essi sono:
Secondo questa concezione è reato l'illecito penale, cioè la violazione di una norma che prevede come sanzione una delle pene previste dall'art. 17 del Codice Penale:
Tale distinzione è rilevante sul piano applicativo per il criterio di imputazione soggettiva (salvo diversa disposizione legislativa si risponde per i delitti a solo titolo di dolo mentre nel caso delle contravvenzioni si può essere chiamati a rispondere indifferentemente a titolo di dolo o di colpa), il tentativo (istituto giuridico non applicabile alle contravvenzioni) e le cause di giustificazione o scriminanti.
Le contravvenzioni scaturiscono storicamente dai cosiddetti reati di polizia con cui si esprimeva la regolamentazione disciplinare della vita associata.
Esse sono un "mala quia prohibita" (male perché proibiti), cioè repressi solo in rapporto alle mutevoli esigenze di comune ordine e sicurezza.
I delitti invece sono reati che violano norme a tutela di diritti naturali. Essi sono "mala in se" (male in sé), cioè lesivi di un bene preesistente. Per essi è necessario il dolo, mentre per le contravvenzioni basta anche solo la colpa.
Alla concezione formale si contrappone la concezione sostanziale del reato in base alla quale è tale il fatto socialmente pericoloso anche se non espressamente previsto dalla legge; ne deriva che sono punibili le condotte socialmente pericolose anche se non sono criminalizzate dalla legge. Tale concezione tuttavia elide la certezza del diritto e le garanzie per i cittadini e per tale motivo tutti i paesi democratici e liberali hanno adottato una nozione formale del reato.
Fatto umano che aggredisce un bene giuridico ritenuto meritevole di tutela da un legislatore che si muove nel quadro dei valori costituzionali; sempre che la misura dell'aggressione sia tale da far apparire inevitabile il ricorso alla pena e le sanzioni di tipo non penale non siano sufficienti a garantire un'efficace tutela.
Nel diritto italiano il reato è distinto in dottrina secondo classificazioni di ampia portata, alcune delle quali sono di generale condivisione, mentre di altre non è sufficientemente riconosciuta la validità (o l'opportunità) teoretica e restano pertanto nell'analisi più che altro come tracce convenzionali. Comunque la classificazione dei reati (come molti altri argomenti del diritto) non si presenta esente dalle insidie di interpretazioni potenzialmente viziate da visioni filosofiche o ideologiche e - anche per questo - è peraltro suscettibile di variazioni nel tempo; conviene dunque considerare la preminenza dell'aspetto di convenzionalità attuale nell'elencazione di alcuni fra i principali tipi classificabili.
La divisione principale all'interno della categoria del reato è quella che distingue i delitti dalle contravvenzioni. Tale divisione risale al Codice Toscano del 1856 ed è stata accettata senza modifiche dal Codice Zanardelli del 1889 e dal Codice Rocco del 1930. Il criterio distintivo delle due categorie accolto dal codice penale attualmente vigente è di natura formale. Stabilisce infatti l'art. 17 del codice che:
La distinzione ha notevole rilievo pratico sotto diversi aspetti: principalmente, mentre per i delitti si risponde a titolo di dolo, e solo se espressamente previsto dalla legge penale a titolo di colpa, per le contravvenzioni si risponde indifferentemente per dolo o per colpa. Inoltre, il delitto tentato è configurabile esclusivamente per i delitti.
La dottrina si è sforzata di rinvenire un criterio sostanziale di differenziazione tra delitti e contravvenzioni, una ricerca questa influenzata da concezioni politico criminali di volta in volta dominanti.
Oggi la differenza poggia su un criterio quantitativo, ossia una distinzione che opera sulla base di maggiore e minore gravità.
La rivalutazione dell'illecito amministrativo introdotta con la legge n. 689/1981 di depenalizzazione, giustifica l'interrogativo se non sia opportuno superare la vecchia bipartizione trasferendo in blocco l'intero settore degli illeciti contravvenzionali nel campo degli illeciti puniti con sanzione pecuniaria amministrativa. Tuttavia un'eventuale trasformazione appare sconsigliabile da un punto di vista politico criminale perché ci sono illeciti posti in una posizione intermedia.
Il mantenimento della differenziazione può trovare giustificazione nell'esigenza di configurare modelli di disciplina penale differenziati in funzione delle peculiarità strutturali di determinati illeciti.
La Circolare del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 febbraio 1986 stabilisce criteri orientativi per la scelta tra delitti e contravvenzioni.
Le contravvenzioni dovrebbero circoscriversi a due categorie di illeciti:
La non punibilità del tentativo è giustificata dal primo tipo.
La circolare esclude che il criterio di distinzione tra illeciti delittuosi/contravvenzionali, possa far sempre leva sul parametro quantitativo della maggiore o minor gravità dell'illecito.
Sul piano del diritto positivo vigente, la distinzione più sicura è quella di natura formale che fa leva sul diverso tipo di sanzioni comminate. Infatti stabilisce l'art. 39 : "I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni secondo la diversa specie delle pene per essi rispettivamente stabilite da questo codice" e l'art. 17 stabilisce : "Pene principali per i delitti: ergastolo, reclusione, multa; Pene principali per le contravvenzioni: arresto e ammenda".
Il tentativo è configurabile solo nei delitti.
A seconda della figura soggettiva di chi lo commette, il reato può essere distinto in proprio o comune:
La qualità personale necessaria per il reato proprio può essere permanente oppure temporanea (o episodica), come nel caso del testimone in un procedimento giudiziario il quale, pur non trovandosi evidentemente stabilmente nella condizione di teste (non dovrebbe infatti trattarsi di una condizione frequente, si spera), può commettere il reato proprio di falsa testimonianza solo durante quel breve tempo in cui rivesta tale funzione. Anche la situazione nella quale si commette l'illecito può essere permanente o temporanea: l'elettore che entri armato in un seggio elettorale può commettere quel reato proprio solo quando un seggio è presente ed esiste per i soli pochi giorni di voto e di spoglio. La situazione soggettiva dell'autore del reato proprio può essere assoluta o relativa: è assoluta quella condizione che una volta acquisita ha valore generale agli effetti dell'ordinamento, come per il caso del detto pubblico ufficiale, che tale è per l'universalità dei componenti la comunità che ne riconosce la carica e la funzione. È relativa invece quella condizione che ha valore solo per alcuni altri appartenenti alla medesima comunità, ma non per altri, come accade nell'infanticidio per la madre che cagiona la morte del proprio neonato (essa è l'unica madre di quel neonato, può essere madre di altri soggetti, ma non è ovviamente madre di chiunque - la condizione dell'autore è dunque relativa al solo soggetto passivo del reato). Da taluni si cita anche l'esempio dell'incesto, che consiste in una congiunzione carnale compiuta fra soggetti legati da vincoli di sangue o di affinità, sebbene questo reato sia più spesso e più a proposito citato per esemplificare quelle azioni umane normalmente lecite che divengono reato solo in presenza di particolari qualità dell'autore, e in questo caso divengono reato proprio. Vi sono bensì azioni umane che costituiscono sempre reato, ma che a particolari condizioni divengono reato proprio: l'uccisione di un neonato è generalmente un omicidio, salvo che sia commessa dalla madre del neonato, nel qual caso diviene il già ricordato reato proprio di infanticidio.
A seconda della natura e del momento consumativo del reato, in pratica della durata dell'illecito, e sotto l'aspetto degli effetti dell'azione delittuosa, il reato può essere istantaneo, permanente, continuato, abituale o professionale.
Tenere una certa condotta, a prescindere dal risultato (necessaria l'analisi del nesso di causalità da parte del giudice)
Con riguardo alla condotta si distinguono invece i reati a forma vincolata e i reati a forma libera.
Con riguardo alla offesa arrecata al bene giuridico protetto dalla norma penale distinguiamo i reati di danno e i reati di pericolo.
Si suole distinguere ulteriormente in reati di pericolo concreto e reati di pericolo presunto
Il pericolo deve effettivamente esistere e di volta in volta accertato dal giudice.
Il pericolo è implicito nella stessa condotta e non fa parte della struttura della fattispecie di reato, ma non è inibito all'accusato fornire la prova contraria.
Sebbene il pericolo non sia implicito nella condotta, viene comunque presunto "iuris et de iure" senza ammissione di prova contraria circa la sua concreta esistenza.
I reati di pericolo presunto continuano ad apparire non esenti da obiezioni costituzionali. Essi rischiano di reprimere la mera disobbedienza dell'agente, ossia la semplice inottemperanza di un precetto penale senza che a questa si accompagni un'effettiva esposizione o pericolo del bene protetto. Bisogna individuare correttamente i settori dove è necessario anticipare la tutela sino all'astratta pericolosità. Si pensi a processi tecnologici di massa che minacciano beni come la salute. Poi ci sono beni superindividuali che possono essere danneggiati da condotte cumulative ripetute nel tempo e ciò rende impossibile provare una singola condotta tipica. Più l'incriminazione interferisce con l'esercizio di libertà politiche, più c'è esigenza di attribuire al reato un contenuto concretamente pericoloso.
La struttura del reato, negli anni, è stata oggetto di numerosi studi e approfondimenti, volti a unificare, dal punto di vista teorico-sistematico, le varie fattispecie criminose che il nostro ordinamento penalistico raccoglie. La dottrina, sia in passato sia ai giorni nostri, utilizza due principali teorie per l'analisi della struttura del reato:
La teoria bipartita è stata introdotta in Italia da Francesco Carrara.
Il reato, essendo un atto giuridico, è composto da due elementi: quello soggettivo, che concerne l'autore del reato, e quello oggettivo, che si concentra sulla sua condotta.
L'elemento oggettivo è costituito da una condotta, ovvero una modificazione del mondo esteriore, che consiste in un'azione od omissione descritta dalla legge penale, da cui scaturisce un risultato, detto evento, collegato alla prima da un nesso causale.
La condotta è l'elemento dinamico della fattispecie oggettivo-materiale del fatto tipico. Essa può essere commissiva (o positiva) e si sostanzia quindi in un'azione, in un fare; o può essere omissiva (o negativa) e si sostanzia quindi in un'omissione, in un non fare. L'omissione, a sua volta, può essere propria e impropria. Si parla di "omissione propria" quando ai fini della configurabilità dell'illecito rileva la mera omissione o ritardo nell'azione, mentre si parla di omissione impropria nelle ipotesi di reati commissivi mediante omissione (ad esempio l'omicidio del neonato da parte della madre che omette di allattarlo)
Sussistono due concezioni dell'evento: concezione giuridica e concezione naturalistica. Secondo la concezione naturalistica l'evento consiste nella modificazione della realtà esteriore suscettibile di percezione sensoria. Tale concezione ritiene che possano esistere dei reati senza evento come ad esempio nell'ipotesi dei reati di mera condotta in cui si ha la consumazione del reato con il semplice porre in essere la condotta tipica (ad esempio omissione di referto). Secondo la concezione giuridica, invece, l'evento si sostanzia nell'offesa del bene o valore tutelato dalla norma penale incriminatrice; offesa che può manifestarsi nelle due forme della lesione o messa in pericolo. Tale teoria sostiene, per converso, che non possono esistere dei reati senza evento perché lo stesso reato si sostanzia nell'aggressione di un bene giuridico. Quanto al reato di omissione di referto sostiene che il bene aggredito è quello dell'interesse dell'Amministrazione della giustizia di venire a conoscenza di quei fatti che possono costituire i presupposti per la perseguibilità d'ufficio di dati reati. Per semplificare, l'evento non è altro che la conseguenza dannosa dell'azione od omissione.
Per approfondire, vedi la voce Nesso di causalità. |
Il nesso causale è il passaggio logico che rende l'evento una conseguenza della condotta del reo e, quindi, imputabile a quest'ultimo, in quanto nessuno può essere considerato autore di un reato se l'evento non è a lui imputabile. Si può pertanto affermare che il "nesso causale", anche detto "nesso di causalità" è il rapporto che deve intercorrere tra azione ed evento, dal quale deve risultare che quest'ultimo è la diretta conseguenza del fare (l'azione) o non fare (l'omissione) in esame.
Per approfondire, vedi le voci Colpevolezza, Dolo (diritto) e Colpa (diritto). |
L'elemento soggettivo consiste nella coscienza e volontà dell'azione od omissione e può assumere due forme fondamentali: il dolo o la colpa.
La teoria tripartita, suole suddividere la struttura del reato in tipicità, antigiuridicità e colpevolezza e suole definire il reato come: fatto umano tipico, antigiuridico e colpevole.
Per tipicità si intende la corrispondenza del fatto umano, posto in essere dal soggetto agente, a una delle fattispecie criminose configurate dal nostro ordinamento. Il fatto, nel caso sussista tale corrispondenza, diverrà un fatto tipico. Il fatto tipico, quindi, sarà un'espressione di tutti quegli elementi costituenti la fattispecie criminosa tipizzata dall'ordinamento. La tipicità è, di conseguenza, espressione sia del principio di materialità, sia del principio di tassatività, poiché configura un fatto umano (nella teoria bipartita corrisponderebbe alla condotta e, quindi, all'elemento oggettivo) che, rileva ai fini del nostro ordinamento penalistico, solo se posto materialmente in essere dall'agente e solo se aderente a quelle ipotesi tassative, espressioni anche del principio di legalità, che lo stesso enuncia.
Qualora il fatto umano si configura come fatto tipico, perché possa sussistere un illecito penale, lo stesso deve essere anche antigiuridico, ossia, deve essere realmente "contra ius" e portatore di una lesione del bene giuridico protetto dall'ordinamento giuridico. Tale requisito risulta l'effettivo elemento di differenziazione tra la teoria bipartita e quella tripartita. Si ricorre a questo terzo requisito per introdurre accanto al fatto umano e alla colpevolezza un elemento negativo: l'assenza di scriminanti. Inammissibile per chi ritenga che il concetto proprio di "fatto" comprenda già di per sé la mancanza di scriminanti.
La costituzione sancisce all'art. 27 «La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte». Con questo articolo la Costituzione sancisce il principio di colpevolezza, il 1° comma deve essere interpretato per considerare l'agente del reato non come semplice fattore causuale "cieco", ma come un essere capace di orientare le proprie scelte secondo criteri di valore e di governare razionalmente i propri atteggiamenti esteriori. <questa interpretazione è sancita dalla sentenza n. 364/1988, la quale dichiarava l'incostituzionalità dell'allora art. 5 c.p.
È l'elemento soggettivo del reato, cioè il livello di partecipazione interiore alla realizzazione del fatto; per essere responsabili di un fatto, questo deve essere voluto dall'agente oppure il soggetto deve avere agito con colpa, cioè essere stato negligente, imprudente, ecc.
Accanto alla teoria tripartita, si affianca quella cosiddetta "finalistica", che altro non prevede che gli elementi soggettivi (dolo, colpa), rientranti in quella che è la "colpevolezza psicologica" della teoria tripartita, vengano trasfusi nel fatto tipico del reato (quindi nel fatto tipico rientrano sia elementi oggettivi come il nesso di causalità, luogo, tempo, ecc. sia elementi soggettivi come la colpa e il dolo); mentre per colpevolezza, ora "normativa" per i finalisti, s'intende la volontà ribelle di un soggetto a cui l'ordinamento può avanzare un giudizio di riprovevolezza, la quale volontà ribelle presuppone l'imputabilità ed è eliminata o attenuata dalle situazioni scusanti.
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